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venerdì 29 agosto 2014

Ho deciso, stacco la spina





Sappiatelo, ho deciso. Avrei voluto farlo e basta, ma poi mi sono detto “Un po’ di educazione, dai. Avvisa i tuoi accaniti lettori di cosa fai e del perché lo fai”. Ho avuto l’illuminazione quando ho visto un post di 3Italia su Google+. Diceva “Saresti disposto a stare 3 mesi senza smartphone, pc, internet, social, ecc per la modica cifra di 3mln di $ ?” Ecco, questa sì che è un’opportunità, ho pensato, non capiscono un tubo quelli che credono che il web non dia queste fantastiche possibilità, che non possa imprimere una svolta alla nostra vita. E allora, ho deciso, mi butto. Cosa volete che siano 3 mesi: 12 settimane, 90 giorni, solo 2160 ore. Oh, sia chiaro, io lo faccio solo per mettermi alla prova: sì, c’è la ricompensa finale ma io lo farei anche per 1/10 di quella cifra (l’ho anche scritto, guardate qui se non ci credete). Spero almeno che i 3 mesi finiscano prima di Natale, altrimenti qualche amico o parente lontano potrebbe preoccuparsi non sentendomi in nessun modo, tranne che io recuperi qualche piccione viaggiatore d’antan. 

Dovrò fare essenzialmente uno sforzo di memoria, provare a fare mente locale su com’era la mia vita prima dell’attuale invasione orgiastica di tecnologia, in cui ci crogioliamo. Dunque, tra i vari oggetti citati nella sfida, il primo che girava a casa era un cellulare Nec P100, anno di grazia 1994, però non ne diventai granchè dipendente visto che lo usava perlopiù mia sorella, lavorando fuori paese e dovendo sottostare alla solita apprensione di nostra madre. Dopo due anni mi feci la connessione a internet, all’inizio si pagava il solo scatto alla risposta: una vera pacchia. Poi, nel ’98 arrivò il mio primo vero telefonino, vivevo a Milano, come avrei fatto senza? Il ricordo principale che mi sovviene è l’incredibile tariffa: 2000 lire al minuto ! Infine, saltando di alcuni anni, nel 2009 ho esordito nel mondo surreale dei social network.

Riavvolgendo il nastro, all’epoca per comunicare c’era solo il telefono fisso, conoscevi una ragazza interessante e per rivederla dovevi solo sperare, o farti dare qualche info da un’amica comune; le ricerche si facevano sull’enciclopedia e qualche volta alla biblioteca comunale; quando non avevi voglia di uscire guardavi la tv (senza demand), con un numero di pollici e di canali “umani”, oppure ascoltavi un bel 33 giri, graffi compresi; se volevi salutare gli amici, passare una serata insieme, li cercavi, ci uscivi e ti divertivi un sacco; l’unico motivo per non guardare negli occhi una persona era un’eventuale timidezza. Caspita, era una vita normale, l’ho fatta per più di 25 anni, perché non potrei vivere in tal guisa solo per 3 mesi ? sarebbe come bere un bicchiere d’acqua con, in più, il traguardo finale del premio (ok, ho barato, lo faccio anche per i soldi, con i tempi che corrono….). E poi staccare mi farà bene, lo stress diminuirà, trascorrerò più tempo con i miei cari, condurrò solo vita reale (magari evitando chi ne fa troppa di virtuale), mi dedicherò ai miei tanti hobbies: la poesia (anche se non l’ho mai abbandonata), la pittura astratta (lasciata indietro causa Zuckerberg), il bricolage manutentivo (sarà contenta mia moglie), le passeggiate (un hobby forzato causa problemi ad un ginocchio ma, chi lo sa, magari in 3 mesi mi appassiona anche questo…). Se proprio sentirete la mia mancanza il numero di casa e il mio indirizzo (di posta, quella con la carta e le buche fuori dalla porta) credo li possiate trovare facilmente.
Vi abbraccio, a presto.


PS mio figlio di 10 anni, iniziando a leggere questo scritto, ha detto “sicuro di volerlo fare?“


lunedì 25 agosto 2014

Motori tradizionali? GM ne migliora l’efficienza




Oggi negli Stati Uniti più di 230 mln di autovetture utilizzano motori a combustione interna (endotermico): questi, grazie alla loro elevata affidabilità e convenienza, continueranno ad equipaggiare probabilmente la maggior parte dei veicoli in futuro. Per questo motivo i ricercatori, spinti anche da un riconoscimento di 6,2 mln $ dal Dipartimento dell'Energia più la stessa cifra investita dalla General Motors (GM), si sono concentrati sul miglioramento dell'efficienza del motore endotermico, riducendo al contempo le emissioni.

La GM sta producendo da quest’anno la Chevrolet Impala, venduta solo negli USA, con una nuova tecnologia che impatta in modo significativo sul consumo di carburante. Al momento i numeri parlano di 4 km in più ogni 10 litri di benzina; detto così non sembra molto ma, viste le previsioni di vendita di questo modello, si tratta di 4 mln di litri totali di benzina risparmiati all'anno, un vantaggio sia per le tasche degli automobilisti che scelgono quel modello, sia per i polmoni di tutti.

La vera novità introdotta nel motore consiste in una valvola di aspirazione regolabile: la sua apertura, che consente il passaggio della miscela aria-benzina nella camera di combustione, non è prefissata ma determinata di volta in volta dalla centralina elettronica del veicolo, in funzione di alcuni parametri. In condizioni di guida normali, la valvola di aspirazione funziona in modalità low-lift, fornendo il flusso d'aria minimo richiesto e di conseguenza massimizza il risparmio di carburante; se invece il conducente richiede particolari prestazioni alla vettura (maggiore velocità o accelerazione, percorsi in salita), la valvola di aspirazione passa automaticamente alla modalità high-lift, fornendo la potenza massima al motore. In tal modo si ottiene un consumo più contenuto di benzina e quindi emissioni inquinanti ridotte. 

Attraverso progetti di ricerca e sviluppo come questo con la GM, il Dipartimento dell'Energia americano sta lavorando per migliorare l'efficienza dei motori a combustione interna, nei veicoli per trasporto persone, avendo fissato target ambiziosi di risparmio globale del 25% per le auto a benzina e del 40% per quelle a gasolio, con i quali si taglierebbero 600 mln di barili di petrolio l’anno. Quest’esempio dimostra come, a volte, si possono affinare le soluzioni esistenti piuttosto che concentrarsi su quelle completamente nuove, che necessitano di un maggior sforzo da parte dei vari attori.  I benefici economici ed ambientali non possono  attendere ancora per molto la manna delle tecnologie futuristiche (ibrido, elettrico, idrogeno, ecc), la cui diffusione è lunga a venire, sia per questioni di mentalità che per l’assenza di adeguate e complesse infrastrutture.




venerdì 22 agosto 2014

Un braccialetto aiuterà chi soffre d’asma


Chemisense braccialetto

Il costante peggioramento della qualità dell’aria mette a dura prova chi soffre d’asma e di allergie. Molte volte ci si accorge di essere in un ambiente particolarmente inquinato solo quando si è presi dalla crisi o comunque da problemi respiratori: troppo tardi per intervenire. A questo proposito la startup californiana Chemisense sta sperimentando un sensore indossabile per monitorare la qualità dell'aria e rilevare la presenza di sostanze dannose in tempo reale. Il sensore comunica con lo smartphone: il soggetto asmatico potrà così controllare l’aria che sta respirando e, se possibile, allontanarsi da quel luogo. 

Negli Stati Uniti, la qualità dell'aria è monitorata grazie a migliaia di stazioni: su siti web dedicati si possono verificare i valori e le eventuali previsioni per i giorni seguenti. Ma si tratta di misure accurate giusto intorno ai rilevatori. Invece la Chemisense prevede di utilizzare un braccialetto individuale composto da polimeri trattati con nanoparticelle cariche di carbonio: i polimeri si gonfiano in presenza di alcuni vapori chimici, cambiando uno o più parametri di un circuito elettronico. L’informazione è poi tradotta in valore numerico che l’app dello smartphone interpreta come un allarme.

Avvalendosi anche del crowdsourcing, la Chemisense effettuerà dei test pilota su molti bambini affetti da malattie respiratorie, che saranno d’ausilio sia per il test del braccialetto che per identificare i luoghi e le sostanze inquinanti che tendono a provocare attacchi, misurandone gli effetti all’esposizione per diversi giorni. Attualmente è possibile misurare circa una dozzina di prodotti chimici e composti, tra cui il benzene, il biossido di azoto e il monossido di carbonio; stanno lavorando per individuarne circa altri venti. Ma lo sforzo maggiore sarà quello dei limiti di rilevamento: una stazione standard misura fino ad una parte per miliardo dell’inquinante, cosa al limite dell’impossibile per i nuovi sensori della startup californiana, dove sono fiduciosi di arrivare a misurare 100 parti per miliardo. 

Come in altri casi, anche in questo si può parlare di tecnologia abilitante: una volta trovato il miglior compromesso tra le prestazioni del sensore e un prezzo accessibile a tutti, le possibilità di sviluppare uno strumento che aiuti i pazienti ad avere una buona qualità di vita saranno molteplici.  Il loro smartphone diventerà una banca dati personale che consentirà di conoscere meglio la propria patologia e, forse, accettarla con un sorriso in più. E quei dati, condivisi magari con i centri di ricerca, saranno fonte per migliorare la vita anche di altri. Insomma, un respiro davvero smart.






lunedì 18 agosto 2014

Il rischio aumenta l'ansia nelle donne


Le situazioni di rischio aumentano l'ansia per le donne di più rispetto agli uomini, portandole a svolgere peggio i loro compiti in queste condizioni. E’ il risultato di uno studio condotto dalla dottoranda in sociologia Susan R. Fisk, che sarà presentato al 109° meeting annuale della American Sociological Association: certamente non troverà grandi consensi nell’opinione del gentil sesso. La Fisk ha voluto precisare che si parla del rischio in senso lato, non solo fisico o finanziario, ma quello che, ad esempio, può presentarsi in un incontro di lavoro quando si deve esprimere un’idea e si teme il giudizio dei colleghi, oppure quando ad una volontaria viene affidato un incarico difficile non previsto nella sua mansione di routine.

Sono stati condotti tre esperimenti, utilizzando adulti statunitensi di età compresa tra i 18 e gli 81 anni. Nel primo i partecipanti online hanno descritto la loro reazione a due scenari lavorativi durante una riunione, una con colleghi ben predisposti, l’altra con persone che non lo sono affatto. Al termine del loro contributo gli è stato sottoposto un test sull’ansia, in base al quale le donne che avevano simulato uno scenario di rischio hanno riportato il 13,6% in più di livello d’ansia rispetto a quelle con scenari senza rischio. La definizione degli scenari non ha avuto un effetto statisticamente significativo sulla preoccupazione degli uomini.

Nel secondo esperimento si usavano delle domande scritte sul cui esito veniva chiesto di scommettere: i partecipanti dovevano puntare su sé stessi e sulla loro presunta accuratezza delle risposte. Risultato: le donne hanno individuato l’11% in meno di risposte corrette, verificandole poi verbalmente; invece senza il rischio della scommessa la correttezza media tra uomini e donne sarebbe stata circa la stessa. Infine per il terzo esperimento la sociologa ha sottoposto a studenti di ingegneria dei test per laureati: gli studenti dovevano assegnare un grado di fiducia ai loro responsi, creando perciò un livello pur minimo di insicurezza. In tal caso la percentuale di domande errate al femminile si è fermata al 4%.

Secondo la Fisk, anche se una donna ha potenzialmente le stesse prestazioni di un uomo, potrebbe essere giudicata diversamente proprio perché i risultati sono condizionabili dal suo maggior livello di ansia. Di più, la dottoressa crede che questo possa essere uno dei motivi per cui i posti di leadership sono più occupati dagli uomini; perciò le imprese dovranno il più possibile evitare le situazioni di rischio, permettendo così di dare il meglio anche alle dipendenti donne, affinché tutti ne ottengano un vantaggio.

Non so quanti si troveranno d’accordo con i risultati di questa ricerca. Io sono molto scettico. Innanzitutto per le differenze percentuali riscontrate, che sono al limite del significativo; poi perché la casistica di valutazione è veramente ristretta rispetto a quella reale, anche se naturalmente aumentare le situazioni di test sarebbe oneroso per la ricerca, senza trascurare l’eventuale rischio che vada in crisi anche la categoria maschile. Infine, non conosciamo qual è la grande apertura mentale della dottoressa Fisk, secondo cui le donne siedono meno degli uomini nelle poltrone di comando anche per la loro incapacità di gestire il rischio, invece che per un radicato ed esteso sessismo duro a morire.



giovedì 14 agosto 2014

La storia di un uomo



Questa è la storia di un uomo. Un uomo insoddisfatto in perenne ricerca di attimi di felicità, vera o presunta, di sensazioni al limite dell’innaturale pur di sollevarsi dalla piatta normalità. Si circonda in continuazione di donne, le conquista con rara maestria, come fossero trofei, ma allo stesso tempo non è disposto a perdere la sua libertà. Coglie l’attimo e poi se ne disfa, contento di averlo colto ma subito dopo infelice, perché di questo prendere ciò che vuole è diventato dipendente.

Un giorno però, con molta meraviglia, si rende conto di aver vissuto un’emozione forte, un evento nel profondo dell’anima che l’ha fatto diventare uomo, che però lo spaventa e lo costringe a scappare, a sentirsi parte della folla, perché vedersi come gli altri e tra gli altri attenua i sentimenti estremi. Così, piano piano, comincia a realizzare quello che è successo, si sente euforico e fa cose straordinarie, magiche, sentendosi in armonia con la natura; anche se, a tratti, cerca di tenere lontano quello stato di quasi perfezione in cui crede di trovarsi, provando a sbagliare.

Poi, nell’inesorabilità del tempo, l’uomo si lascia andare in attività amene che hanno perso la purezza e la lucentezza iniziale, in uno stato di semi incoscienza; tutto si trascina con tempi differiti, sguardi e conversazioni divengono surreali, la sua anima non lascia più il segno. Quando è troppo tardi, si accorge di aver perso la possibilità di entusiasmarsi e di vivere davvero: non gli resta che il dolore, da cancellare a tutti costi, anche facendo violenza ai suoi pensieri. Ci prova per un momento a rinascere, a ritentare quella strada punteggiata da tante stelle, però forse il timore di non reggere lo riporta a terra, guardando ad un passato intimamente meno rischioso e più rassicurante, raccontando a sé stesso la sua istintività, talvolta brutale ma più confortante. Gli resta la sua emozione folle, il suo amore folle, avvenuto in un tempo troppo piccolo, che non riesce proprio a scordare. Perché, a volte, un atto troppo grande come può essere solo un amore è l’unico ad illuderci che la vita non è poi così labile.

Questa è la storia di un uomo. E' una storia inventata naturalmente ma, se posso ammetterlo, ho preso spunto e reintepretato quella poesia in musica che è Un tempo piccolo, cantata dai Tiromancino e scritta (anche) da Franco Califano, il cui tema probabilmente è un altro.  Eccola, per chi vuole ascoltarla o riascoltarla.

Buon ferragosto !


lunedì 11 agosto 2014

Melbourne, a lezioni di smartness sociale



Melbourne sta definendo una vera e propria strategia per le sue abitazioni, basandosi sull’idea che quando si creano spazi per le persone con basso reddito se ne ricava un beneficio per tutta la comunità. Consentendo a queste persone di risiedere vicino al proprio lavoro, essi possono migliorare la loro situazione finanziaria, diminuendo quindi la spesa pubblica e contribuendo all'economia cittadina. Ma la vera rivoluzione è che i cittadini stanno partecipando a tale pianificazione edilizia.

Il problema che la metropoli australiana sta cercando di risolvere è come mantenere, se non accelerare, la crescita economica pur fornendo un tetto per i residenti con difficoltà economiche. Le statistiche infatti parlano chiaro: c’è stato un raddoppio degli abitanti negli ultimi 13 anni, fenomeno che potrebbe ripetersi entro i prossimi 16. Di conseguenza il prezzo degli affitti è salito vertiginosamente, andando fuori controllo. Il governo cittadino ha così fissato un target di 1700 nuove unità immobiliari a prezzi accessibili entro il 2021. La spesa vantaggiosa per chi acquista non corrisponderà ad una bassa qualità delle costruzioni, nemmeno a superfici più ridotte, rispetto alla media di quelle attuali; di più, si approfitterà per integrare prestazioni ambientali particolarmente spinte. 

Per vincere le fisiologiche resistenze, sia dei costruttori che dei meno propensi ad accogliere altri concittadini, gli amministratori australiani hanno pensato di muoversi in due direzioni. Primo, educare il pubblico sulla necessità e sui vantaggi di alloggi a prezzi accessibili, insomma creare una cultura di social housing: a tale scopo nel 2013 è stato presentato il testo Future Living come spunto di discussione e diffusione delle tematiche. Secondo, coinvolgere direttamente la comunità nel trovare soluzioni: per questo è stato realizzato un sito web, denominato HomesForPeople, per far conoscere la bozza di strategie agli abitanti di Melbourne, chiedendone un parere ed altre idee o feedback che possano sostenere l’utilità e il miglioramento di questa iniziativa. Nonostante pochi giorni fa sia terminata la consultazione popolare, mediante HomesForPeople i cittadini possono ancora informarsi sul probabile piano lavori, con relative tempistiche, che attende la metropoli per i prossimi anni, conoscendone i benefici e gli eventuali disagi. 

Spesso, quando si parla di smart cities la tecnologia impera. E’ necessaria, nessuno lo mette in dubbio. Ma casi come questi sono emblematici di come si possa creare una vera smartness sociale, a maggior ragione in tematiche come l’assistenza ai meno abbienti. Gli amministratori devono inevitabilmente farsi aiutare dai cittadini nel redigere le politiche governative, garantendo trasparenza ed applicando la vera democrazia partecipativa. Solo così si restituisce la città alle persone, a chi la vive, la anima, a chi ne costituisce gli ingranaggi pulsanti: ingranaggi che, coordinati in modo intelligente, ruotano e si muovono verso una migliore qualità della vita, di tutti.