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martedì 25 novembre 2014

Il valore degli esempi concreti


Cari genitori, abbiamo molto da imparare. Tutti noi. Abbiamo da imparare quali esempi positivi portare nella vita, soprattutto ai nostri ragazzi, voglio dire. Ne abbiamo creati tanti, troppi, di idoli e personaggi che valgono anche meno di una mezza calzetta, venuti dal nulla per divertirci ma diventati molto spesso supereroi dell’ameno. Non una sostanza, non un messaggio costruttivo. Nulla. Tutti i media ne sono pieni, in ogni argomento, dalla musica allo sport, dalla tv al cinema. Forse un po’ meno nei fumetti. Per fortuna qualcuno c’è rimasto che può far capire, a questa e alle generazioni future, l’abnegazione di cui abbiamo bisogno. Ed è pure un qualcuno umano. Anche se per il momento sta facendo l’extraterrestre, tornerà sul pianeta azzurro all’incirca fra 6 mesi.

L’altra sera ho seguito con mio figlio lo streaming della partenza della Soyuz con Samantha Cristoforetti. Avevo visto altre volte delle registrazioni ma mai un live del genere. Live su uno schermo, naturalmente. Prima il silenzio, interrotto da qualche voce tecnica nella notte sovietica, condito con gli sbuffi di calore e gas intorno al razzo vettore, poi di colpo, con una precisione svizzera (ma pare che anche i russi, almeno in questo campo, non abbiano mai scherzato al riguardo), si accendono i motori e via. Samantha e gli altri due appena prima facevano dei cenni di saluto e parevano leggere delle carte all’interno della capsula. Dopo pochi minuti, sparati a quella folle velocità (ma razionale per giustificarne il fine) rieccoli apparire sorridenti con il pollice insù, tutto sta andando bene. Io mi sono emozionato, non lo nascondo. I prodigi dell’umano ingegno e le possibilità che dischiudono a volte mi fanno questo effetto. 

La nostra cara Samantha (sorvolo sui tanti titoli, di merito e sul campo) si è preparata per ben 4 anni su questa missione. Certo, madre natura le è stata benevola dotandola di una intelligenza superiore alla media, cosa che non si può ottenere con il solo impegno. Ma come si fa a non parlare di questi traguardi, di un tale esempio, dell’orgoglio di un intero paese per una sua figlia ai nostri ragazzi ? ah, bè, scusate, non me ne ricordavo, dobbiamo andare a prenotargli l’ultimo smartphone uscito e non ne abbiamo tempo. E’ vero, il bambino è appena tornato da scuola e non possiamo tediarlo con argomentazioni tecno-scientifiche, si deve rilassare con la sua Playstation; più tardi ha piscina, ‘chè la forma fisica è importante. Se invece è già una ragazzina deve fare il tonalizzato dal parrucchiere: quello dei vip, s’intende. Vorrà dire che non avremo imparato un bel niente. Né dalla Cristoforetti, né dagli uomini e le donne che la vita se la sudano, che arrivano in alto con l’impegno, la dedizione, la passione, la visione di voler realizzare un sogno. In America li chiamano self-made man. E non pensate al solito modo italiota (che fa rima con idiota) di farsi avanti con le raccomandazioni. Per la nostra Samantha non è proprio il caso. Ma ciò vale anche per tutti gli altri veri geni che sanno distinguersi in campi differenti, che trovano poco spazio nella terra di Dante per i più disparati motivi, ma che appena varcano il confine vengono apprezzati e valorizzati.

Il futuro, cari genitori, non sta certo nelle vetrine di MissItalia, di XFactor, del GrandeFratello. Né tantomeno nelle tabaccherie dove si guarda attoniti lo schermo attendendo il miracolo del 10elotto. Restiamo a bocca aperta per una fortuna che bacia sempre gli altri. Attenzione però, guardiamo a fondo i versi di questa fortuna. Perché non è così cieca. Una mano da noi se l’aspetta. La fortuna vuole anche vedere cosa siamo in grado di fare. Quanto ci diamo da fare. Quanto spieghiamo ai nostri epigoni cosa serve davvero nella vita e ciò che, al contrario, fa da contorno, da superficie: l’inutilità di immolarsi agli dei della bellezza esteriore senza coltivarne una grande interiore, di dedicarsi alle luci che si affievoliscono presto piuttosto che alle lampade difficili da far ardere ma che alla lunga durano di più, sono apprezzate di più. La Cristoforetti è solo una di queste luci. Se sappiamo guardare, in giro ce ne sono tante altre, potrei azzardare ottimisticamente che pullulano gli esempi da emulare. Ma sono accomunati dagli stessi tratti: la caparbietà, la concentrazione, il perseguire i propri obiettivi a costo di sacrifici. Sapere vedere soddisfazioni lontane nel tempo, che però alla fine premiano, noi e a volte anche una nazione intera.

Dovremo dunque scegliere di svegliare i nostri figli quando sognano i miti stupidi di una iperstrumentalizzata società che non sorregge i reali pilastri della loto crescita, ma piuttosto li addormenta intorno a maschere imbruttite dalla vanagloria. Forse, la traiettoria disegnata dalla Soyuz può aiutarci a capire, può farci rivolgere lo sguardo e i pensieri a mondi lontani, lontani dalla nostra anima attuale a tratti sterile, ripensando a come proiettare gli uomini di domani nei sentieri impervi del futuro. Perché i balletti senza gravità di Samantha sono concessi solo a chi, come lei, ha già i piedi ben saldi per terra. 


venerdì 21 novembre 2014

Rilevare cellule tumorali con le nanoparticelle


Un nuovo tipo di nanoparticelle può aiutare a rimarcare cellule tumorali nel sangue e ad effettuare trattamenti più efficaci sui pazienti. E’ quanto emerge da una ricerca condotta presso l’Istituto Internazionale di Nanotecnologia presso la Northwestern University, Illinois, pubblicato di recente sulla rivista specializzata Proceedings of the National Academy of Sciences. Le analisi hanno  evidenziato risultati decisamente positivi su cellule di cancro nei topi, ma sono state estese con successo anche in laboratorio su sangue umano, contaminato artificialmente dalle stesse cellule.

Ad oggi i medici non riescono ad esprimersi sulla riuscita di un intervento di rimozione del tessuto canceroso finché non si possono rifare indagine approfondite: questo però può avvenire solo dopo qualche mese. Grazie alle nanoflare, le nanoparticelle realizzate dal team di ingegneri biomedici guidati dal professor Chad Mirkin, si dovrebbe conoscere in anticipo l’esito dell’intervento e prendere le eventuali ulteriori contromisure. Le nanoflare sono realizzate con delle particelle di oro rivestite da molecole fluorescenti e frammenti di DNA, selezionato per corrispondere all’RNA contenuto in particolari cellule tumorali. Introdotte nel campione di sangue, le nanoparticelle penetrano le cellule tumorali e il DNA si lega all'RNA bersaglio, innescando il rilascio di molecole fluorescenti: le cellule tumorali emettono così una sorta di bagliore, rilevato da uno speciale laser.

Un vantaggio considerevole di questa tecnica è quello di calibrare esemplari diversi di nanoflare al fine di individuare più tipi di cellule tumorali, componendo alcuni strati di DNA e molecole fluorescenti di colori differenti. Questo setup puntuale risulta utile per scovare le cellule tumorali circolanti, le più ostiche da rilevare sia per il loro nomadismo che per le quantità molto basse. Già altre tecniche utilizzano nanoparticelle che si legano alle cellule cancerose, ma tendono a distruggerle. Se un tale comportamento è naturalmente auspicabile per i pazienti, i ricercatori dovrebbero preferire le nanoflare in quanto il loro legame non è distruttivo: si permette così di continuare le indagini anche in vitro. Tale possibilità garantisce inoltre la possibilità di tentare dei trattamenti prima sul sangue del paziente e poi nel suo organismo.

Purtroppo la tecnica dei nanoflare avrà bisogno di anni per essere approvata e diffusa: durante quel periodo potrà ancora essere migliorata, dicono alla Northwestern University. Ma si tratta comunque di una grande novità diagnostica che dovrebbe contribuire ad importanti sviluppi, sia nella ricerca avanzata che nella definizione di nuovi farmaci. Una speranza in più per la salute umana presente e futura, che al solito può venire solo da frontiere scientifiche per le quali gli investimenti non devono mai mancare, in ogni parte del mondo. 


(fonte http://www.technologyreview.com/news/532416/nanoparticle-detects-the-deadliest-cancer-cells-in-blood ; nella foto, a sinistra cellule tumorali con le nanoflare che si “colorano” di rosso, a destra senza)


venerdì 14 novembre 2014

Gli occhi intelligenti nelle telecamere del futuro


Le telecamere sono occhi. Sono dappertutto e molti direbbero che ci spiano. Certo, è un lato della medaglia. Ufficialmente sono lì per controllare, registrare, dare una mano alle forze dell’ordine ad identificare ed acciuffare i malintenzionati di cui sono piene strade, piazze, luoghi più o meno umanizzati. Ma hanno uno svantaggio: sono statiche e mostrano l’accaduto in differita. Ora però qualcuno li sta dotando di una intelligenza tale da seguire i sospetti. Alcuni ingegneri elettronici dell’Università di Washington hanno progettato un algoritmo che fa uso di una rete di telecamere con la quale, fissata una immagine contenente una persona, si possono tracciare i suoi movimenti. 

Il problema derivante dal monitoraggio di un uomo attraverso le telecamere è che l'aspetto può variare notevolmente in ogni video a causa delle differenti prospettive, illuminazioni e tonalità di colore prodotte. L’algoritmo dei ricercatori americani ha superato questo ostacolo usando i primissimi dati delle riprese come addestramento per il software di riconoscimento, calcolando poi le differenze di colore, la consistenza delle immagini e l'angolo di visualizzazione diverso. Tale calibrazione rende individuabili le stesse persone su più fotogrammi, in modo che il monitoraggio possa essere effettuato senza l’operatore umano.

Nelle prove si è fatto uso sia di telecamere fisse che di mobili posizionate su droni, ottenendo il corretto tracciamento dei movimenti di una persona, anche se temporaneamente nascosta da ostacoli imprevisti. "L’inseguimento automatico di esseri umani attraverso le telecamere in uno spazio tridimensionale è una grande novità", ha detto il professor Jenq-Neng Hwang, responsabile del team di ricerca, presentando il lavoro ad un convegno in Cina sugli ITS (Intelligent Transportation Systems) promosso dall’IEEE (Institute of Electrical and Electronics Engineers)

La tecnologia di collegamento e rilevamento può essere utilizzata ovunque, a patto che le telecamere comunichino su una rete wireless e carichino i dati per l’elaborazione in tempo reale nel cloud (quindi con velocità di connessione elevate). Questa registrazione visiva dettagliata potrebbe essere utile per la sicurezza e la sorveglianza, ad esempio per comportamenti insoliti o per seguire un sospetto in movimento. Ma anche per scopi commerciali, visto che carpire i movimenti di un potenziale acquirente all’interno di un negozio sarebbe utile per il venditore, che offrirebbe (e sconterebbe) prodotti in funzione degli interessi del cliente, magari in tempo reale. E, visto il dilagare di cookie sul web per questo scopo, potrebbe funzionare alla grande. 

Dalle prime righe del post starete già pensando alle problematiche della privacy. Naturale. Il professor Hwang ha affermato che le informazioni estratte dalle telecamere dovrebbero essere criptate prima di essere inviate nel cloud. Però potrebbe non bastare. E sappiamo come le grandi multinazionali si arricchiscono con i nostri dati, i nostri gusti. Ora anche la privacy del nostro genoma potrebbe essere a rischio, se decidiamo di memorizzarla in un’apposita “nuvola” (si veda qui). Viene il dubbio che il concetto di privacy debba essere cambiato, a causa di Internet e delle grosse capacità di memoria e di elaborazione a disposizione. Forse in futuro dovremo accettare uno spioncino dall’esterno della nostra vita, pur di ricevere in cambio una porta blindata che la protegga adeguatamente da chi ci vuole danneggiare.  




lunedì 10 novembre 2014

Quanti processi paralleli nel cervello umano ?



Creare un elaboratore che simuli il cervello umano è il sogno di molti scienziati cibernetici, che nelle notti del tempo si confonde e si intreccia con quella irrazionale volontà di somigliare a Dio. A questo ancora nessuno ci è arrivato, nonostante gli sforzi e le strabilianti meraviglie della tecnologia moderna. Quello che è certo, comunque, è che la nostra macchina pensante svolge molti compiti nello stesso tempo, ciò che i tecnici chiamano parallelismo. Ora uno studio dell’Università di Atene ha dimostrato, mediante l’uso della risonanza magnetica funzionale (fMRI), che nel caso di azioni per noi semplici si può arrivare a fino 50 processi contemporanei.
 
Il cervello si compone di circa 100 miliardi di neuroni, ognuno dei quali è mediamente connesso con altri 10000 vicini. E’ stato calcolato anche l’equivalente elettrico di questa straordinaria struttura, che nel caso di particolari sforzi arriva solo a 20 watt, con i quali accenderemmo a stento una lampadina: sono prestazioni che i progettisti di computer invidiano senza tanto nasconderlo. In medicina diagnostica l’utilizzo della risonanza magnetica, tradizionale prima e funzionale dopo, ha permesso di fare un grande passo avanti nella conoscenza dei meccanismi di attivazione delle aree del cervello in funzione degli stimoli. In particolare le macchine fMRI si basano sulle variazioni dei livelli di ossigeno nel sangue che passa attraverso il cervello: questi livelli rivelano quindi la maggiore o minore attività delle aree cerebrali

Il dottor Harris Georgiou ha guidato l’equipe greca nell’analisi neurale, creando innanzitutto dei dati virtuali simili a quelli che genera la fMRI, ricavati da otto diversi segnali con caratteristiche statistiche paragonabili a quelle rilevabili sul cervello. Una volta validato questo modello, ha sottoposto nove adulti sani ad un centinaio di rilevazioni basate su due prove. Nella prima si mostravano due colori diversi su uno schermo e ognuno doveva indicarli con l’indice di una mano, in funzione della posizione del colore visualizzato: la apparente difficoltà era data dall’indicare il colore sul lato opposto a quello della mano usata per indicarlo. La seconda prova era un tipico riconoscimento visivo: tra gli oggetti che scorrevano sullo schermo si chiedeva di individuare quelli simili anche se mostrati da angolazione diversa.

I risultati hanno evidenziato circa 50 processi indipendenti nella prima prova e un numero di poco inferiore nella seconda. Ma l’informazione principale ottenuta dalla ricerca è che il parallelismo con cui lavora la nostra materia grigia si trova ad un livello strutturale più alto rispetto ai singoli neuroni. Potrebbe essere questo il punto di partenza per progettare calcolatori con prestazioni più vicine a quelle del cervello. Infatti, gli attuali chip neuromorfi (la cui struttura tende ad imitare la morfologia del cervello) contengono un milione di neuroni artificiali ciascuno con solo 256 connessioni, ancora poco rispetto alla realtà; l’fMRI usata da Georgiou ha evidenziato attività parallele tra gruppi di circa tre milioni di neuroni, ognuno avente diverse migliaia di collegamenti con quelli adiacenti

Molti film in passato ci hanno affascinato con la presenza di computer che pensavano come l’uomo e addirittura rischiavano di soppiantarlo. Il grande Kubrick ce ne diede un assaggio nel ’68 con il suo HAL in 2001 Odissea nello spazio. Da allora l’intelligenza artificiale ha avuto una grande evoluzione, ma è impensabile spingere a tavoletta su queste strade senza le dovute considerazioni etiche. Piuttosto, ricerche come quella di Atene potrebbero aiutare a comprendere i malfunzionamenti del nostro supercomputer cranico. Per quelli da creare ex novo, per ora è sufficiente madre natura.


(fonte http://www.technologyreview.com/view/532291/fmri-data-reveals-the-number-of-parallel-processes-running-in-the-brain/)