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lunedì 26 gennaio 2015

La ricetta per una seconda Terra


Pensate solo per un attimo se ci fosse un’altra Terra a disposizione per noi. Si risolverebbero di colpo un sacco di problemi che affliggono gli umani: due o tre miliardi di uomini potrebbero trasferirsi su un pianeta del tutto simile al nostro, magari più piccolino, supponiamo con un viaggio di sei mesi da qui. In poche settimane ecco tanto più spazio sulla Terra, la gente più comodamente distribuita, con risorse naturali sufficienti per tutti. Il dibattuto problema della sostenibilità risolto d’emblè. Una bella magia. Bé, nemmeno tanto, visto che al centro di astrofisica Harvard-Smithsonian di Cambridge alcuni studiosi hanno abbozzato la ricetta necessaria a “sfornare” un pianeta simile al nostro.

In sintesi, secondo queste ardite istruzioni di astro-cucina (o di gAstronomia), disponendo di alcuni elementi tipo (in ordine di quantità) ferro, ossigeno, silicio, magnesio, alluminio, nichel, calcio, zolfo, si potrebbe combinarli mediante opportune variazioni (drastiche) di temperatura e avvicinando il tutto ad una stella giovane. Poi basterebbe irrorare l’ammasso ottenuto con quantità d’acqua proveniente da un asteroide ed infine, attendendo qualche milione di anni, con tanta fortuna otterremmo una qualche forma di vita simile alla nostra. Certo, detto così sembra una barzelletta, ma gli scienziati ci hanno lavorato sopra, specie osservando degli esopianeti piuttosto lontani. In particolare il pianeta analizzato maggiormente si chiama Kepler-93b, dista “solo” 300 anni luce dalla Terra. Terra prima versione, ovviamente.

Questi pianeti extrasolari potenzialmente simili alla Terra hanno bisogno di sostanze chimiche fondamentali e devono trovarsi nei pressi di una stella relativamente giovane, con un’orbita tale da far coesistere acqua allo stato liquido. In teoria, anche se l’acqua non ci fosse, secondo gli studi sarebbe sufficiente un asteroide che, passando di lì “per caso”, rilasci dell’acqua contenente composti organici: pian piano (ma molto piano) ci sarebbero le condizioni per ospitare la vita. Gli scienziati hanno fatto uso di uno strumento denominato HARPS (High-Accuracy Radial Velocity Planet Searcher), montato sul telescopio nazionale Galileo delle Isole Canarie. Lo strumento è stato progettato per studiare pianeti extrasolari e distinguere tra quelli somiglianti alla Terra e quelli più gassosi e meno ospitali. L'HARPS può determinare con precisione la massa di un pianeta grazie a quanta luce esso trattiene passando davanti alla sua stella vicina: in tal modo si può calcolare la densità, risalendo da essa alla probabile abitabilità del pianeta.

Kepler-93b è un pianeta con dimensioni circa 1,5 volte quelle della Terra. Il telescopio HARPS ha misurato la massa di Kepler-93b, pari a circa quattro volte quella della Terra. Ciò significa che il pianeta è molto probabilmente di natura rocciosa e quindi, da questo punto di vista, simile alla Terra. Successivamente il team ha misurato la massa di altri dieci pianeti extrasolari, tutti con diametro al massimo a 2,7 volte più grande del terrestre. I risultati hanno mostrato che i cinque pianeti più piccoli hanno un rapporto tra massa e dimensioni analogo alla Terra; invece i cinque più grandi hanno densità molto più bassa, ossia sono composti per la gran parte da materiali come acqua, idrogeno o elio. Pertanto si può affermare che le ricerche su corpi celesti che somigliano al nostro dovrebbero concentrarsi sui pianeti con diametro non molto maggiore.

Di recente il film Interstellar ha suscitato negli animi più sensibili tematiche come queste. La Terra non ce la fa più a sostenere i suoi abitanti. Nel film, qualcuno con molto coraggio decide di andare ad esplorare altre galassie alla ricerca di posti alternativi. La speranza di tutti è che non si debba arrivare a tanto, sia perché ad oggi la scienza non ha ancora la forza della fantascienza di trovare un altro pianeta così accogliente come il nostro, sia perché, come succede già quaggiù, se davvero accadesse i fortunati ad andarci sarebbero coloro che hanno i mezzi economici per farlo. Ma, insieme a tale auspicio, dobbiamo mettercela tutta per evitare di giungere ad un mondo così disperato.


(fonte http://www.space.com/28312-earth-like-planets-recipe.html ;si ringrazia il sito www.1ms.net per la gentile concessione della foto)
 



lunedì 19 gennaio 2015

L’artista dello sporco


Ogni tanto io e mio figlio parliamo e sogniamo di macchine sportive. Sì, lo so, ai bambini bisognerebbe parlare di valori, ma i sogni sono essenziali per gli adulti, figuriamoci se non possono farlo loro. Così, leggendo l’ultimo numero di una rivista di settore, Top Gear, un articolo mi ha fatto sorridere. Un tizio negli USA ha inventato un hobby artistico a dir poco insolito: si è messo a disegnare sui lunotti sporchi delle auto. Avete capito bene, su quelle auto per le quali ci viene da pensare “chissà che tipo trasandato il proprietario di quella quattro ruote” o, peggio, dove qualche buontempone ha scritto “Aspetta, forse piove”.

Ora, sul tema ci sono diverse correnti di pensiero. Per dirne una, ci sono quelli che, se invitati ad un matrimonio, pensano prima a lavare l’auto di buon mattino e poi a sbrigare tutto il resto; dal lato opposto ci sono gli altri che approfittano del colore grigio argento per non pulirla mai (ad esempio avevo un collega che faceva lavare solo gli interni, interpretazione corretta dal punto di vista salutare ed igienico). Nel paese di Scott Wade, l’artista delle auto sporche, si vede che gli autolavaggi facevano la fame, oltre alla frequente fuliggine presente per le strade. Lui, sin da piccolo, aveva la passione per il disegno, così per scherzo ha cominciato ad inventarsi prima creazioni semplici sui lunotti, poi è passato a cose sempre più complesse, servendosi anche di polvere artificiale. In breve è divenuto una notorietà per gli amanti del genere, chiamato per fiere e dimostrazioni un po’ in tutto il mondo, dove sui lunotti disegna su richiesta o rielabora opere d’arte, dalla Venere di Botticelli alla Notte stellata di Van Gogh.

La peculiarità di questo artista dello sporco è, oltre al talento grafico, di aver trovato un supporto inusuale ed originale, il cui risultato non dura tanto ma forse resta più impressa nella mente di chi l’ha guardato. Non voglio fare paragoni con giganti dell’Arte con la A maiuscola, però da sempre le svolte in questo campo sono venute da chi usava un linguaggio nuovo o strumenti nuovi per esprimere la propria forza d’animo. In fondo i disegni di Scott Wade non sono composizioni che lasciano a bocca aperta. Ciò che mi stupisce è come la mente umana lavori con la fantasia, compiacendosi di sé stessa. Molti di noi, da piccoli o da meno piccoli, avranno tracciato poche linee su un vetro appannato, un nome, una piccola frase, un cuore con la freccia di Cupido. Wade ha sviluppato una tecnica in funzione della sua particolare “tela”, ha dato un senso a quella polvere, potremmo dire cambiando la posizione dei granellini, per arrivare ad una forma, un volto, un paesaggio. Fa venire in mente Ilana Yahav, quell’artista israeliana che abbiamo visto all’opera in uno spot di una nota azienda di idrocarburi, che dava luogo a vere e proprie animazioni versando sabbia dal palmo della mano, per poi modellarla e ricostruirne il soggetto con le dita. 

Sfogliando la rivista Top Gear, gli amanti del rombo dei motori, oppure del lusso ad ipervelocità, hanno di che eccitarsi. Le emozioni, si sa, sono sentimenti molto soggettivi: qualcuno può fantasticare ammirando una supersportiva da un milione di Euro, altri, semplicemente, possono stupirsi approfittando della creatività di piccoli e curiosi geni del disegno. Come il signor Wade e le sue creazioni, belle ma fugaci, che svaniscono se s’alza il vento: quasi a ricordarci di quanto può essere effimera la vita.

Questo il sito, se la storia vi incuriosisce.


(si ringrazia il sito www.ufunk.net per la gentile concessione della foto)

lunedì 12 gennaio 2015

Il 33 giri fatto in casa



Una volta c’era l’LP, con tutto il suo mondo di vinile, i piatti dove farlo girare, le puntine sempre delicate, amplificatore, casse e via discorrendo. C’era anche il 45 giri, preceduto, ai tempi dei miei nonni, dal 78 giri. Poi, un bel giorno, la musica digitale ne decretò il declino, con la sua crescente miniaturizzazione e versatilità, la sua migliore qualità d’ascolto (quasi per tutti). Ma, come diceva quel film, a volte ritornano, anzi forse non sono mai spariti del tutto. I mercatini sono pieni di venditori di 33 giri e qualche band, di successo e non, li ha affiancati a CD, DVD, iTunes ed affini. Poche copie, giusto per gli affezionati e musicalmente conservatori (come me).
      
Adesso ci si mettono anche gli artigiani digitali a ridare al vinile una marcia in più. Paul Tayar, un 33enne (ironia del caso, 33 come i 33 giri) tecnico audio di Sydney si è creato in casa una macchina per incidere dei nuovi LP. Poi, visto che funzionava bene, ha promosso il progetto tramite il sito di crowdfunding Kickstarter, dichiarando un obiettivo di 10000$ e raggiungendo circa il triplo di raccolta fondi. L’ha battezzato Desktop Record Cutter (DRC, letteralmente taglia dischi da tavolo), mettendolo in vendita alla cifra di 6500$. Il DRC è simile ad un tornio che incide mediante un utensile con punta di diamante i dischi di plastica, formando i microsolchi che poi la puntina del piatto leggerà, facendoci ascoltare la musica. Si può scegliere una plastica magari meno impattante sull’ambiente rispetto al vinile, sempre però nei limiti di lavorabilità consentiti dal DRC. 

Non si poteva pensare di fare una versione casalinga delle macchine tradizionali di produzione dei dischi, visto che usano matrici di metallo con grosse pressioni e materiali, tipo lacche tossiche ed infiammabili, non proprio gestibili da mani inesperte. Per questo il signor Tayar si è orientato su una puntina diamantata da fissare al tornio, progettando e realizzando l’elettronica di registrazione dell’audio e di trasferimento sul disco, mediante la lavorazione a controllo numerico che muove l’incisore dalla punta preziosa. Ma alle doti tecniche ha unito anche le commerciali, dichiarando su Kickstarter che con la raccolta fondi avrebbe aumentato la produzione, abbassando il costo del prodotto finito. E poi Tayar si è affidato ad una piccola casa discografica locale, la Tankcrimes Records, per sviluppare il suo progetto in modo più industriale. Attualmente il costo del disco inciso, per una cinquantina di copie senza copertina ed accessori di imballaggio, è di circa 12$; comunque alla Tankcrimes credono che potrebbero passare 3 anni o più prima che il DRC diventi un prodotto di consumo.

Anche se concepito come una macchina da tavolo, per tutti, non avrà la valenza e l’utilizzo di registratori musicali con altri supporti. Sarà un prodotto di nicchia adatto a musicisti senza grossi agganci con le case discografiche, dove le tirature hanno sempre numeri molto grandi. Da notare come arriva un momento in cui alcune tecnologie si intrecciano, si ibridano: l’analogico sfuma nel digitale, ma può accadere anche il contrario. Infatti i brani registrati dagli autori in digitale (file mp3 di alta qualità, per intenderci) verranno trasformati in LP dal DRC, ossia il contrario di quei dispositivi che permettono di trasformare musicassette e vecchi dischi in file per PC e lettori vari da cuffiette. Probabilmente è la voglia di fare sempre e comunque musica, unita a queste tecnologie semi-casalinghe sviluppate ad hoc, il filo conduttore della storia di Tayar. E di tante simili che verranno.

Qui maggiori dettagli sul prodotto.




mercoledì 7 gennaio 2015

Auto più sicure con uno sterzo intelligente



Negli anni ’40 il ricercatore inglese Tustin creò un modello che simulava le azioni consce ed inconsce che una persona compie per raggiungere un qualsiasi obiettivo fisico, mediante un comportamento di controllo continuo e lineare. Questa teoria si dimostrò valida anche per la guida delle prime auto, in quanto si pensava che l’autista seguisse la strada continuamente con controlli fini. Il tutto si inquadrò nella cosiddetta teoria dell’inseguimento con controllo. Di recente però qualcuno l’ha messa in discussione, dimostrando l’esistenza di deviazioni dal comportamento lineare, assimilabili a veri e propri scatti.

La capacità di prevedere ciò che un conducente sta per fare nel futuro immediato ed avere quindi un sistema in grado di preparare la vettura a farlo può sembrare fantascienza ed è un sogno per molti progettisti e costruttori di automobili. Ma ora sta forse per diventare realtà. I ricercatori della Chalmers University of Technology di Goteborg hanno contribuito a chiarire il meccanismo che governa il nostro comportamento per guidare una vettura, sviluppando un modello che consente di prevedere l’azione che sta per fare l’autista subito prima di compierla, calcolando ad esempio di quanto girerà le ruote un attimo prima di sterzare. Si potranno così sviluppare diverse applicazioni di supporto alla guida per rendere le nostre auto più sicure; un modo intelligente per aiutare gli autisti affaticati a guidare senza perdere il controllo del mezzo.

Il concetto alla base della “scoperta” è che il movimento che facciamo per prendere un oggetto avviene in un tempo indipendente dalla distanza alla quale l’oggetto si trova (ci muoviamo più velocemente se l’oggetto è più lontano da noi). Così  gli scienziati hanno raccolto dati su più di 1000 ore di guida, dati contenenti tutte le correzioni che gli autisti avevano apportato alla traiettoria dei mezzi mediante lo sterzo. Questi dati hanno confermato la nuova teoria e il modello creato, smentendo il principio di controllo lineare affermato 70 anni fa da Tustin. Dunque le piccole repentine rotazioni eseguite sullo sterzo permettono di tenere il percorso desiderato, rispettando ciò che la teoria prevede, in funzione di parametri rilevati in tempo reale.

Il modello sviluppato dai ricercatori svedesi potrebbe portare ad una nuova concezione del controllo umano di veicoli. Basterà impostare lo sterzo intelligente per fare in modo che il mezzo segua la direzione giusta e sicura anche se l’autista si distrae, cosa sempre più frequente. Si tratta di un riuscito connubio tra neuroscienze e tecnologie avanzate dell’automotive, ossia un passo in avanti nella comprensione di ciò che facciamo e di come questo può essere migliorato. Resta però il dubbio che un conducente troppo tranquillo e troppo fiducioso degli apparati di bordo possa essere un pericolo ancora maggiore di chi guida in modo tradizionale, sapendo di essere il solo responsabile di sé stesso e di chi trasporta.