Mi sono imbattuto in alcune
considerazioni sull'innovazione, scritte da un docente di ingegneria
dell'università dello Iowa, tale Andrew
Kusiak, e pubblicate su Nature:
le ho trovate molto interessanti. Provo a condividerle con voi.
Molto spesso si vede l'innovazione come
un punto di partenza. Un'azienda che vuole innovare prova ad inventare qualcosa che forse lascerà
il segno, nel suo settore o nella vita di tutti i giorni. Se davvero funzionerà
sarà il tempo a dirlo. Intanto, però, governi piccoli e grandi investono
ingenti capitali in nome dell'innovazione. A volte tutto ciò serve anche da
spot pubblicitario. Ma l'innovazione non deve essere confusa con l'invenzione e
la creatività. La prima è spesso legata ai settori tecnologici o alla ricerca,
la seconda è la capacità di generare idee e prodotti originali. Tuttavia non
esiste una base concreta e partecipata per questi sforzi di innovazione. In
più, ancor prima di tutto, l'innovazione richiede un fattore imprescindibile: il
successo di mercato, non essere accessibile solo a pochi eletti.
Secondo Kusiak, ogni scoperta avrebbe
una maggiore probabilità di successo se si riuscisse a trovare delle precise
modalità per innovare. Il passato è pieno di esempi dove una particolare creatività
si è presto trasformata in un grande successo, ma gli episodi dirompenti e
davvero cruciali, anche dal punto di vista culturale ed antropologico, sono
molto rari. Il percorso di innovazione è attualmente quasi più artistico che scientifico:
questo potrebbe spiegare perché non è affatto efficiente. Di più, la gente si
aspetta che dal calderone dell'innovazione escano anche le soluzioni ai
problemi globali: le fonti energetiche alternative, la mitigazione dei
cambiamenti climatici, l'eliminazione della povertà, garantire un'assistenza
sanitaria a tutti. Molti programmi di ricerca sostengono di essere innovativi
perché applicano nuovi approcci ai vecchi problemi, oppure perché si attendono
nuove scoperte dalle quali poi un certo campo verrà innovato. Ma non è così
semplice: si tratta di una logica intricata perché manca una vera comprensione
del processo di innovazione, del quale nessuno ha mai pensato di farne un
modello, magari replicabile.
Un'ipotesi potrebbe essere quella di
creare una vera e propria scienza dell'innovazione. Potremmo analizzare la
storia di alcuni brevetti per dare una forma al processo di innovazione,
passando cioè dall'idea generalizzata di partenza alla sua applicazione
pratica, in ogni settore. Oppure analizzare sistematicamente e scientificamente
i fallimenti di chi ci ha preceduto, scartando a priori strade già esplorate
senza successo. Ancora, provare a connettere campi apparentemente non correlati,
che hanno già avuto il genio di produrre qualcosa di nuovo, scoprendone il percorso
realizzativo comune.
Infine, non si può fare un collegamento
diretto tra industria ed innovazione. L'innovazione parte da una intensa
sperimentazione, mentre nel mondo industriale, dove si cerca di rasentare la
perfezione e impera il time-to-market,
non è possibile tollerare grandi percentuali di scarto. Quei
"preziosi" fallimenti sarebbero visti come un impedimento al
business. Forse, conclude Kusiak, i governi e gli scienziati dovrebbero sprecare meno tempo nel trovare settori ai quali dedicare risorse (quando ci sono) e concentrarsi di più sulle modalità per innovare, aspetto trasversale a tutti.
(fonte
http://www.nature.com/news/put-innovation-science-at-the-heart-of-discovery-1.19380 ; si ringrazia il sito http://www.zdnet.com/ per la gentile
concessione della foto)