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mercoledì 30 marzo 2016

Privacy a tutti i costi ? no, grazie


Non mi sono mai piaciute le regole. Voglio dire, la loro applicazione severa, indiscriminata, cieca, senza un minimo di buon senso. In generale, le regole, quando ci sono, vanno rispettate. Poi, come nel caso di certa giustizia, la libera interpretazione dei giudici, o alcuni interventi di legali così bravi da scambiare il vero con il falso e viceversa, fanno in modo che le stesse regole diano risultati diversi. Spesso a sfavore dei più deboli. Ma non divaghiamo. Resta il fatto che se una regola deve essere rispettata a costo di procurare un danno potenziale o reale alla comunità, qualcuno deve insistere per infrangerla. E’ quanto successo negli USA nelle ultime ore.

Il 2 dicembre dell’anno scorso, a San Bernardino, California, due pazzi criminali, marito e moglie, hanno seminato la morte in un centro disabili, mandando al Creatore ben 14 persone e ferendone quasi il doppio. Sono certo lo ricorderete. Poi i pazzi furono uccisi dalla polizia. Lo smartphone di uno dei due poteva (forse) contenere delle informazioni utili alle forze dell’ordine, le quali hanno chiesto al produttore di sbloccarlo, dato che era stato reso non più accessibile dopo aver inserito 3 volte una password sbagliata. Ma il CEO dell’azienda ha negato all’FBI la procedura di sblocco, brandendo la spada della privacy assoluta a tutti i costi, una regola che ogni utente in possesso di quello smartphone conosce, e ne va fiero, naturalmente. La notizia, già diffusa ieri nel pomeriggio, è che l’FBI ha usato i suoi tecnici (hacker legalizzati, meglio) per sbloccare il dispositivo di cui sopra.

Per me siamo giunti all’assurdo. Per motivi di marketing, di presunta perfezione ed inviolabilità del prodotto, di business insomma, si nega la possibilità di indagare e di arrivare ad informazioni preziose. Ora, non è dato di sapere cosa stessero cercando di così fondamentale, forse qualche collegamento degli autori della strage con terroristi o affini. Ma supponete che invece siano stati acquisiti i telefoni dello stesso marchio appartenenti ad Abdeslam e simili. E che magari avrebbero potuto contenere una quantità di dati utili a catturare altri “soldati del male” o ad evitare ulteriori bombe come le ultime. Quel CEO di cui sopra avrebbe negato l’accesso come in questa occasione ? io dico di si.

L’ho affermato in altre circostanze e lo ribadisco qui. La privacy va ripensata, specie se perderne un pezzettino può portare grande giovamento, ad esempio quello di salvare vite umane. Ma qui non si tratta solo di etica moderna o di morale digitale. Pensate, alcuni utenti in possesso di questo telefono, da loro reputato il migliore al mondo, hanno manifestato a favore della scelta di quel CEO, loro idolo, successore di un genio ancora più sfavillante, scomparso prematuramente pochi anni fa. Una scelta giusta ma non sempre: quasi sempre. E un “quasi” a volte può fare una grossa differenza, anche perché lo sblocco lo chiedeva l’FBI (un ufficio con tutte le sue pecche, s’intende) e non un mr. Johnson qualsiasi.

Leggo, com’è comprensibile, che i veri sconfitti siamo noi, che la nostra privacy non potrà mai essere al sicuro. Perché, qualcuno ci ha creduto davvero ? Snowden era (è) un pazzo o solo uno che ha visto giusto quando parlava dei suoi programmi di sorveglianza di massa ? E se ho il minimo sospetto che qualcuno, in un angolo remoto del mondo, conosca i miei spostamenti (reali e virtuali), perché non si dovrebbero conoscere vita, morte e "miracoli" di un assassino criminale ? Perdonate l’integralismo, ma questo è il mio pensiero.

Ah, un’ultima cosa, proprio non ricordo il nome di quel famoso brand tecnologico di cui sopra, che non fa solo smartphone ma anche computer e tanto altro, che è sempre un passo avanti in tutto. Dovrei mangiare più frutta. Come dice il proverbio, una pera al giorno leva il medico di torno ;-)



(si ringrazia il sito http://millennialsd.com/  per la gentile concessione della foto)

martedì 8 marzo 2016

Droni autonomi, ci siamo quasi


I droni, quegli oggetti volanti dalle numerose possibilità, oltre ad essere novelli spioni ipertecnologici,  ad oggi si pilotano con un radiocomando. Esistono diversi software che ne permettono lo spostamento automatico ed autonomo, ma sono dedicati ad attività, diciamo, senza imprevisti. Nell'agricoltura di precisione, nella fotogrammetria, per i monitoraggi sistematici e periodici di particolare zone, gli interventi possono essere condotti programmando la rotta del velivolo e lasciando che faccia il suo lavoro, mentre noi ne controlliamo il comportamento dalla stazione di terra. Ma per molte altre situazioni è l’abilità del pilota, con tutte le certificazioni e sicurezze del caso, a renderlo un mezzo al momento fuori dal comune.

In California, un’azienda chiamata Skydio ha realizzato un prototipo di APR (Aeromobile a Pilotaggio Remoto) che riesce a districarsi in un percorso con ostacoli, scansandoli a dovere e seguendo un obiettivo predeterminato. Il mezzo fa uso di diverse videocamere non solo per muoversi senza problemi, ma anche per navigare a velocità relativamente elevate attraverso lo spazio aereo, anche se a quote basse, come fosse un pilota umano esperto. Adotta un sistema di riferimento per il volo fino a ieri impensabile per un sistema dai costi così ridotti e dalle dimensioni così contenute.  Gli algoritmi di calcolo non devono avere alcun margine di incertezza, dato che viaggiando nelle 3 dimensioni il drone non può permettersi di accostare come un auto in panne. Una tematica del genere è già molto sentita nei regolamenti ufficiali, gestiti in Italia dall’ENAC, con i quali si dice in modo chiaro di intraprendere tutti i protocolli di sicurezza possibili prima di far volare gli APR, certificati dallo stesso ente. Nel caso di Skydio la questione è ancora più complessa, dato che deve essere il mezzo stesso a decidere il da farsi, in tempo reale.

Grazie al software di visione creato dai 2 principali progettisti della startup californiana, ex studenti del MIT, si può iniziare a parlare di un pilota automatico a bordo del drone. Con tutte le conseguenze del caso. Positive senz’altro, perché in alcuni scenari dove il drone può già ispezionare ma il suo pilota a terra correrebbe dei rischi, la versione tipo Skydio permetterà di farlo senza alcun problema. Negative, sia perché si introduce una alea in più rispetto a quelle attuali, ma pure perchè dei malintenzionati potrebbero usarlo per scopi non benefici.

Si tratta comunque di questioni che non fermeranno i progetti al riguardo. Molti gli attori coinvolti, a livello mondiale. La DJI, per esempio, gigante cinese del settore, ha di recente introdotto un sistema intelligente per auto-controllare un suo modello di APR, il Phantom4, anticipando addirittura le azioni del comando umano a distanza, comunque presente. Ancora, al Georgia Institute of Technology stanno sperimentando un sistema composto da più droni che, comunicando tra loro, permettono di aumentare l’autonomia utile a terminare un certo lavoro, richiamandone in automatico un altro quando la loro batteria è in via di esaurimento.

Il settore è davvero in piena espansione. Si moltiplicano le iniziative per professionisti di varia estrazione e per appassionati. Oltre ai workshop dei maggiori produttori italiani, di recente l'università di Padova ha istituito un master sui droni, il primo in Italia nel suo genere, denominato "GIScience e Sistemi a Pilotaggio Remoto per la gestione integrata del territorio e delle risorse naturali". Ben vengano quindi tutti i prototipi e le startup del caso, che possono fare da ulteriore leva tecnologica ed economica; ma appare scontato rimarcare che, tra ammucchiate e grandi corse sensazionalistiche, le regole, oltre ad essere sempre rispettate, dovranno essere chiare e stabili.


Qui il video del drone "scansa alberi" della Skydio.

mercoledì 2 marzo 2016

La stampa 3D può aiutare i non vedenti


Tra i settori tecnologici a più rapida crescita, la stampa 3D si è diffusa al grande pubblico solo pochi anni fa, anche grazie alla passione degli artigiani digitali. Con essa si possono creare oggetti di plastica personalizzati, usando un pc ed una stampante speciale, spesso a partire da materiali riciclabili su base vegetale. La formula vincente dipende senz'altro da due fattori: semplice modalità di programmazione, adatta a tutti quelli che masticano un po' di "informatichese", e la possibilità di creare un oggetto su misura. Ma, come tutte le tecnologie innovative, se porta anche vantaggi alle persone con disabilità, migliorandone la qualità della vita, il risvolto umano e sociale può dare vera luce al successo.

All'istituto Hasso Plattner di Potsdam, in Germania, stanno ultimando il progetto denominato Linespace, composto da un grande plotter che utilizza un estrusore per la stampa 3D per creare disegni tattili, come ausilio ai non vedenti. Linespace risponde ai comandi vocali dell'utente costruendo delle linee, aperte e chiuse, di varia forma, su una superficie di 140 × 100 cm posta in verticale, che poi possono essere interpretate dall'utente stesso mediante il tatto. L'estrusore, la testina della stampante 3D dalla quale fuoriesce il filamento caldo di materiale plastico, deposita uno strato, seguendo il percorso preprogrammato o quello desiderato dall'utente, il quale ne sente poi la forma tracciata, risalendo al disegno o all'informazione che ne scaturisce. Vi è anche una telecamera che rileva i punti toccati dall'utente, quelli già tracciati o altri dove egli desidera far continuare il lavoro al braccio automatizzato dell'estrusore. Unico problema, al momento, l'impossibilità di cancellare i disegni già fatti, come se fosse una normale lavagna; sembra però che i progettisti tedeschi stiano  lavorando ad una versione "autopulente".

Come dicevamo, nell'accezione comune la stampa 3D non è un procedimento molto complicato. Così Jason Walker, un papà statunitense, ha deciso di progettare e stampare diversi oggetti comuni per Layla, la sua bambina non vedente, così da per renderla più partecipe della vita di tutti i giorni. Alcune cose che lei non riesce a percepire con la vista non si possono analizzare neanche con il tatto, sia oggetti molto grandi nella loro interezza, un armadio ad esempio, sia le forma di entità meno tastabili che gli occhi però individuano facilmente: la California, lo stato in cui vivono. Così suo padre gli ha donato la possibilità di capire come sono fatti, stampandone dei modellini in scala. Per chi possiede delle disparità sensoriali il prodotto plastico diventa un modo di stare con gli altri, di condividere giochi e sensazioni. Jason crea gli oggetti che possono piacere alla sua piccola, ma succede anche che Layla sia in grado di comunicargli qual è la forma che più le aggrada. Le dita diventano occhi, collegano la mente al mondo reale e riescono, tramite il papà e la sua stampante 3D, a modellarlo come il suo cervello vuole. Great ! direbbero gli anglofoni.

E' successo diversi anni con dei mouse specifici: chi non aveva un uso normale delle mani poteva impartire comandi al pc e farne un uso pressochè normale. Poi si è passati alle comunicazioni, ai social, dove lo scambio virtuale è avvenuto ed avviene con periferiche dedicate. Ma anche a ragazzi che lavorano grazie ad ausili simili, permettendo loro di creare del software. Adesso la stampa 3D, per quanto differente in modalità ed obiettivi, consente di rendere meno difficoltose alcune situazioni di vita reale. Di sicuro, senza applicazioni pratiche e quotidiane, certi ritrovati tecnologici passerebbero subito nel dimenticatoio: importante quindi la loro valorizzazione nel sociale, che può fare da boomerang per ulteriori sviluppi.