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lunedì 28 novembre 2016

Alcol e rischio ictus, sempre vero ?


Attenzione, questo articolo potrebbe causarvi problemi di salute, se continuate la lettura ve ne assumete tutte le conseguenze. Già il fatto che riguardi le bevande alcoliche potrebbe farvi sentirvi inebriati, se poi arrivate in fondo, io non risponderò di alcuna conseguenza.

Forte come incipit, vero ? Bè, non sapete quanto lo è il resto. Scherzi a parte, quando si parla di alcol non possono non venire in mente i numerosi effetti collaterali. Li conosciamo tutti. La nostra salute è grata a quella parte di noi che si limita a bere quel quantitativo "epaticamente" e socialmente accettabile. Per venire all'argomento del giorno, tra le numerose ricerche scientifiche che correlano il consumo di alcol alla maggiore probabilità di avere un ictus nessuna fin'ora aveva indagato gli effetti specifici verso i differenti tipi di ictus. Ci hanno pensato i ricercatori del Karolinska Institutet, in Svezia, in collaborazione con i colleghi dell'Università di Cambridge, nel Regno Unito.

Tra le principali forme di ictus si distinguono quello ischemico, causato da coaguli di sangue che bloccano e danneggiano le arterie cerebrali, da quello emorragico, che si verifica quando un vaso sanguigno indebolito si rompe e sanguina: può accadere nell'encefalo (emorragia intracerebrale) oppure, meno frequente, nell'interspazio tra due membrane che circondano il cervello (emorragia subaracnoidea). La nuova ricerca ha portato alla luce una importante novità: fare un uso moderato di alcol, l'equivalente di due bicchieri di vino al giorno, è associato a un minor rischio di ictus ischemico, mentre non sembra avere alcun effetto positivo sulla probabilità di ictus emorragico. Se invece l'uso non è moderato su tutte le forme di ictus gli effetti sono decisamente negativi. Bella scoperta, direte.

Per giungere a tali risultati, i ricercatori hanno condotto una meta-analisi di 25 studi con i dati relativi ad ictus ischemici, emorragie intracerebrale e subaracnoidea. Per inciso, si parla di meta-analisi quando si ottengono dei risultati da diversi studi clinici, miranti ad ottenere un unico indice quantitativo, con il quale si possano trarre conclusioni più forti di quelle ottenibili da ogni singolo studio. Nel campione totale erano compresi circa 18000 casi di ictus ischemico e circa 4500 casi di emorragico. Il consumo di alcol in tutti gli studi è stata valutato con un questionario e normalizzato rispetto alle varie bevande alcoliche. Si sono così ottenute quattro categorie di esposizione all'alcol, suddivise in leggera (meno di un bicchiere al giorno), moderata (da uno a due bicchieri), alta (da due a quattro) e pesante (più di quattro bicchieri al giorno).

I dati hanno evidenziato una correlazione piuttosto importante tra uso di alcol e ictus di tipo emorragico, rispetto a quella meno marcata con l'ictus di tipo ischemico. Gli scienziati hanno comunque sottolineato che, trattandosi di meta-analisi, le conclusioni circa l'effetto pseudo-benefico dei due bicchieri di vino potrebbero essere state sopravvalutate, a causa delle piccole dimensioni del campione di alcuni degli studi inclusi. Si tratta perciò di una associazione che può aprire altre vie di ricerca, ma non deve essere presa alla lettera, dato che non sono stati considerati fattori determinanti tipo l'età, il sesso, il fumo, l'indice di massa corporea e l'eventuale presenza di diabete.

Voi direte: a che servono studi del genere, con i relativi sprechi di fondi ? (qui credo siano privati, ma se fossero pubblici ?). A volte me lo chiedo anch'io. Però, dovete sapere che quando si arriva a risultati scientifici eclatanti, a scoperte nel campo della medicina con un grande impatto sociale, come questo che lega alcol e salute, ci viene mostrata solo la punta dell'iceberg. Sotto c'è una massa di ricerche, piccole e grandi defaillance, vari lavori "sporchi" che da soli potrebbero non contare niente ma sono uno della miriade di granelli che si compattano fino a raggiungere traguardi importanti.

Quanto alla vostra salute, ora che siete arrivati qui e state ancora bene, potete tirare un sospiro di sollievo. Tranne quelli più birichini che, alla prossima ramanzina di un genitore / figlio / parente / amico sul loro facile alzare il gomito, avranno da rispondere, con baldanza: dai, cosa sono due bicchieri, possono far bene al cervello ! 


lunedì 21 novembre 2016

Sparati in un tubo davanti al golfo Persico


Elon Musk è un tipo particolare. Dicono che i miliardari siano più avvantaggiati nel trovare soluzioni innovative. I loro capitali gli permettono di sperimentare, anche più volte, finchè scovano un nuovo prodotto o uno strabiliante sistema che un giorno stravolgerà la vita di noi comuni mortali. Oppure è solo intuito, o ancora è solo fortuna. Chiamatelo talento, intelligenza emotiva, chi più ne ha più ne metta: non cambia la sostanza. E' chiaro che avere le risorse non vuol dire centrare sempre i progetti giusti. Forse significa avere il potere di non divulgare certi fallimenti. Ma non divaghiamo.

Saprete sicuramente di chi sto parlando. Ha lanciato un progetto che porterà la gente comune nello spazio, ha fondato la Tesla, con le sue auto elettriche di lusso e con grande autonomia (ok, ne ho viste solo due fino ad oggi in giro), ha cofondato Paypal, il principale sistema di pagamento via internet al mondo. Poi tre anni fa gli è venuto il pallino di un nuovo mezzo di locomozione (la parola è arcaica ma mi piaceva il cortocircuito semantico): l'ha battezzato Hyperloop. Ha così affermato che, chiusi in una capsula e sparati all'interno di un tubo alla modesta velocità di 1200 km/h circa, si sarebbe potuti andare da San Francisco a Los Angeles in soli 35 minuti.

Ma come tutti i grandiosi progetti, ci vuole del tempo per farli funzionare. In più, realizzare come opera prima quella appena citata presentava qualche problemino. Ora, uno ricco sfondato come Musk avrebbe potuto pensare: "brevetto subito l'idea così è solo mia!". Manco per sogno. All'epoca della presentazione disse subito che il progetto era open  e quindi invitava ingegneri ed imprenditori a cercare soluzioni per metterlo in pratica. Sta succedendo in questi giorni. La società americana Hyperloop One (H1) e gli Emirati Arabi Uniti stanno per costruire il primo sistema Hyperloop. Dovrebbe partire tra pochissimo la realizzazione del nuovo sistema, per andare da Dubai ad Abu Dhabi. Si tratta solo di 160 km, con un'auto ci si mette un'ora e mezza, massimo due: i tecnici di H1 hanno promesso che ci vorranno solo 12 minuti.

Naturalmente H1 sta collaborando con le autorità di trasporto locali per valutare la fattibilità della costruzione di un sistema di tale calibro, non certamente semplice anche se fatto su una breve distanza. I tecnici statunitensi stanno pensando pure a stazioni di accesso e a veicoli dalle forme accattivanti. Infatti non è solo la velocità a strabiliare, ma tutta la piattaforma costruita intorno. La stazione (termine ampiamente riduttivo) si ispira ad un aeroporto futuristico, nel quale i viaggiatori sono prima fatti accomodare all'interno di scompartimenti da meno di dieci persone, e poi gli scompartimenti vengono accodati all'interno di una capsula. Questa forma un unico veicolo che può così partire per il rapidissimo viaggio. All'arrivo la procedura è inversa.  

E' positivo che si inizi a sperimentare, a far uscire idee, calcoli e business plan dalle quattro mura per applicarli sul campo. La cosa "simpatica" è che queste cose si fanno sempre dove regna lo sperpero, il superfluo, in un paese dove hanno fondato città dal nulla e sul nulla (non mi sto scandalizzando, è l'ennesima constatazione di una realtà di fatto). Potere dell'oro nero. Cosa succederebbe invece se fosse installato un Hyperloop nel belpaese ? a me scappa un sorriso. Ve le immaginate alcune nostre grandi città, sormontate da questi grossi tubi sulla testa della gente, magari anche con un design gradevole ? Li guarderemo fieri di aver raggiunto un traguardo della post-post-modernità.  Poi, appena gli occhi ricadranno sulle vecchie care strade, tra buche e immondizia, torneremo mesti alla realtà.





lunedì 7 novembre 2016

Un blog e i suoi perchè


Sono stato 19 giorni lontano dal mio blog. Nessun problema, qualche picco negli impegni, tutto sotto controllo. E questa potrebbe essere anche una piccola cattiva notizia, perché, come diceva Mario Andretti, “se hai tutto sotto controllo vuol dire che non stai andando alla massima velocità”. Ma non mi pare di avere la stoffa del pilota esasperato. Faccio del raziocinio il filo conduttore delle maggior parte delle mie azioni. Per il resto uso altri motori interni, e forse sono le migliori. Scherzi a parte, sono successe diverse cose in questi giorni. Su tutte, la natura che ha avuto diversi momenti di sfogo: l’energia accumulata in decenni, o anche più, si è scaricata a pochi km da casa. Così ci è capitato di ballare, senza nessuna musica, insieme alle nostre abitazioni. Parlo di quelle, più fortunate, sulla costa.

Io scrivo perché mi piace farlo. Credo l’abbiate capito. Non voglio affermare di essere molto diverso dalla media dei blogger, o tantomeno migliore. La mia è una professione tecnica, ma in merito a ciò faccio, nello specifico, non ho mai voluto approfondirlo nei miei post. Non so se per pudore, per non sembrare troppo saputo su un certo argomento, o al contrario per non scoprire, a causa del commento di qualcuno, di saperne meno di ciò che credo. O semplicemente perché un settore di nicchia avrebbe pochi lettori. Però ho notato che molti comunicatori del web tendono a girare intorno ad un argomento, sembrando cordiali e allo stesso tempo competenti, per arrivare ad un punto: “se vuoi saperne di più contattami, sono l’esperto che fa per te”. Logica corretta, ci mancherebbe: uno sa fare (bene) un lavoro e cerca di metterlo a disposizione del popolo della rete. Guadagnandoci, ovvio. 

Giusto per puntualizzare, nella mia vita lavorativa attuale mi occupo, in senso molto ampio, di mobilità, di trasporti. Che vuol dire tutto e niente. Per esempio, una volta avevo incontrato una persona che non vedevo da tempo e gli avevo comunicato il mio cambiamento professionale, da dipendente a consulente di trasporti. E lui “quindi ora hai un’agenzia viaggi ?”. Perciò, se qualcuno proprio insiste, posso dettagliare meglio come mi guadagno la pagnotta. Ebbene, tornando al blog, quanti articoli ho postato, in questi quasi 2 anni e mezzo di onorato servizio “bloggistico”, sul tema mobilità ? li ho contati, solo 4 (su 132). Avevate intuito che mi occupassi di questa materia ? Io dico di no.

L’affetto per le cose tecnologiche me lo porto dietro da tempo come un marchio. A volte, quando ero ragazzo e mi trovavo in casa di persone poco avvezze a certi dispositivi, immediatamente venivo indicato come quello adatto a supportare il malcapitato, oppure, peggio ancora, a dare una certa risoluzione a problemi tecnici. Questi comportamenti si erano moltiplicati quando avevo scelto gli studi ingegneristici. All’inizio poteva farmi piacere, poi alla lunga la cosa mi scocciava. Invece per la scienza c’è stata sempre una passione, a volte latente, a volte un po’ più espressa, che però per causa di forza maggiore si era acquietata nel tempo. Poi, grazie ad un corso di comunicazione scientifica di qualche anno fa, si è nuovamente riaccesa. Se a questi due argomenti aggiungete “quisquilie e pinzellacchere”, siete giunti alla testata del blog che leggete qualche riga più su di questa. 

Oggi, come avrete compreso, era la volta di quisquilie e pinzellacchere. Gli estimatori del principe De Curtis sanno che ho preso in prestito da lui questi due termini. Mi sono serviti per inquadrare, in un blog dal carattere all’apparenza freddo e distaccato, quello dei laboratori scientifici o delle scoperte innovative, alcuni pochi momenti di libera fuoriuscita dei miei pensieri. Lo so che probabilmente non morivate dalla voglia di tutte queste spiegazioni. Vi ho “usato” perché dopo quasi 3 settimane di silenzio, sentivo il bisogno di romperlo. Spero mi perdonerete. 

(nella foto: vista verso lo Stelvio dal forte militare Venini di Oga)