Pare che Orwell avesse visto bene il
futuro con il suo “1984”. Siamo tutti sotto controllo, anche nel senso meno
deleterio del termine. Per chi ci crede poco vale la sacrosanta legge della
privacy. E proprio questi, non appena viene fuori una tecnologia che la
protegge, vanno in brodo di giuggiole. Allora parliamone. Le password sono
quasi preistoria, i parametri biometrici tipo impronte digitali o lettura
dell’iride (per sistemi non consumer)
sono ancora in uso, ma chi vuole cautelarsi in maniera sopraffina cerca
qualcosa di più. Come fare allora ? L’ultimo trend, per ora sperimentale,
riguarda le onde cerebrali. Attenti però a non alzare troppo il gomito, perché
rischiereste di non accedere ai vostri dispositivi.
Al dipartimento di informatica della Texas Tech University stanno portando
avanti una ricerca per usare le onde cerebrali come efficace strumento di autenticazione.
Con le onde cerebrali si parla di autenticazione comportamentale: gli impulsi
elettrici trasmessi continuamente dal nostro encefalo vengono usati per una
verifica costante dell’utente, in modo che il dispositivo che stiamo usando
conosce in ogni istante chi ha di fronte, ossia il suo legittimo proprietario. Invece
di richiedere un codice, il computer (o lo smartphone) può visualizzare una
serie di parole sullo schermo e misurare la risposta dell'utente tramite una
cuffia EEG (elettroencefalografica), o con un dispositivo analogo. Le firme EEG
sono uniche e molto più complesse di una password standard, quindi difficili da
individuare. La sicurezza sarebbe notevolmente potenziata.
Questo genere di modelli di
autenticazione, costruiti intorno all'utente e quindi ancora più specifici potrebbero
però essere manipolati dal sistema, ricavando dati in tempo reale (molti più
rispetto all'uso dei cookies) sullo
stato emotivo e su altre caratteristiche "intime" degli utenti.
Quindi chi propone la futuristica modalità di login mette anche in guardia su
cosa esattamente devono lavorare i sistemi di autenticazione EEG, tralasciando cioè
tutti i dettagli personali che non concernono la sola verifica dell'utente
(tanto poi Google o chi per lui farà comunque ciò che gli fa comodo, n.d.r.).
Insomma, il rischio è di proteggere la privacy dai pesci piccoli per farsela
violare da quelli grandi.
Allo stato attuale la precisione di
questi sistemi non è del 100% (ne conoscete uno che ce l’ha ?) ma si stima
intorno al 94%. Valore che tende a scendere se l’utente non è lucidissimo, in
particolare se ha bevuto o se ha assunto sostante psicotrope. Oppure qualche
caffè di troppo. Al Rochester Institute
of Technology hanno testato l’accesso ad onde neurali proprio in queste
occasioni. E pare che si scenda addirittura al 33%. In futuro, quindi, oltre
alle auto, dovremo stare lontani dal pc, se il nostro tasso alcolico sarà
superiore alla soglia di intelligibilità digitale.
Ma il problema non si limita solo alle
sostanze tossiche. Presso l'università di Berkeley alcuni scienziati hanno
analizzato quale sarebbe l'impatto dell’esercizio fisico nell’accesso tramite
autenticazione EEG, scoprendo che l'affidabilità si degrada subito dopo un
allenamento fisico. Altri fattori possono variarne la risposta, tipo la fame, lo
stress, la distrazione, gli stati d'animo. Se fosse necessaria una maggiore precisione
in diverse condizioni, si dovrebbe fare una campagna di raccolta di più onde
cerebrali, costruendo modelli che contemplano una firma EEG quando si è sobri,
un'altra quando si è stanchi, e così via.
Finale di speme. Molte volte si scherza
dicendo che in futuro con la forza del pensiero saremo in grado di compiere
certe azioni. Se però, oltre ad abilitare i nostri fedeli cyber-compagni, con
quella stessa forza riusciremo anche a fare pensieri buoni per il nostro cuore
e per quello degli altri, la tecnologia avrà aperto la strada per una umanità
migliore. Oppure sto solo sognando.
PS : Ringrazio Beppe perchè leggendo il
suo post
mi è venuta facile l'introduzione di questo :-)
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